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Diffidiamo da chi fa previsioni sui mercati

Immaginatevi nel 2019, seduti in un bar, sfogliando le notizie economiche. Qualcuno si avvicina e vi dice che nei prossimi anni il mondo affronterà una pandemia globale, tensioni geopolitiche e fluttuazioni del mercato inaspettate. Probabilmente, lo avreste scambiato per un visionario o per un pazzo. Eppure, eccoci qui. Nessuno avrebbe immaginato cosa sarebbe successo negli ultimi anni, in particolare dallo scoppio del Covid. Come nessuno può immaginare cosa il mondo ha in serbo per noi nei prossimi anni. L’unica cosa certa che possiamo dire è che non abbiamo certezze.

Uno dei criteri che ritengo più validi per smascherare subito chi farà danni sui mercati finanziari è quello di chi, con una buona dose di sicurezza, fa previsioni sui rendimenti del mercato: chiunque vi dia consigli finanziari sostenendo che il mercato quest’anno o nei prossimi mesi salirà o scenderà è molto probabilmente un chiacchierone

La lezione di Galbraith e l'imprevedibilità del mercato

La mia citazione preferita in ambito finanziario appartiene a uno dei maggiori economisti della storia, John Kenneth Galbraith, che una volta disse: “La sola funzione delle previsioni in campo economico è quella di rendere persino l’astrologia un po’ più rispettabile”. In un mondo dove gli eventi sono spesso imprevedibili e dove le reazioni del mercato possono essere altrettanto sorprendenti, questa affermazione risuona con tutta la sua forza. Le previsioni economiche, non importa quanto siano informate o sofisticate, spesso finiscono per essere poco più di congetture.

Prendiamo in considerazione gli ultimi anni a partire dal 2020, in cui abbiamo vissuto il susseguirsi di una serie di eventi spesso inimmaginabili: una pandemia globale, blocco delle catene di approvvigionamento, inflazione che ritorna ai livelli più alti degli ultimi 40 anni, aumento vertiginoso dei tassi di interesse, guerra in Ucraina, guerra in Palestina e chi più ne ha più ne metta. Da questa serie di eventi, utilizzando l’intuito, saremmo portati a immaginare un mercato, specie per le azioni, in fortissima difficoltà.

Tuttavia, prendendo come termometro del mercato azionario l’indice S&P500 (l’indice che raggruppa le 500 aziende americane a più alta capitalizzazione), notiamo come sia passato da un valore di 3.234,85 punti del 3 gennaio 2020 a uno di 4697,24 di gennaio 2024. È cresciuto di circa il 45% in 4 anni, ossia ben il 9,77% di interesse annuo composto. Guardando all’anno solare 2023, vediamo che il 29 dicembre 2023 l’indice raggiungeva il valore di 4769,83 punti. Una performance nel 2023 di circa il 24%.

Previsioni vs. Realtà

Un gioco molto interessante da fare, che ci permette di capire quanto le previsioni siano rumore di fondo, è vedere come abbia chiuso l’indice S&P500 rispetto alle previsioni delle più grandi banche al mondo fatte a fine 2022 per l’anno ’23:

  • Per Deutsche Bank l’indice avrebbe chiuso a 4.500 punti;
  • Per JP Morgan 4.200;
  • Wells Fargo tra 4.200 e 4.500;
  • Citigroup 3.900;
  • Barclays 3.675;
  • BMO 4.300;
  • Societe Generale 3.800.

Per farla breve e chiudere l’elenco, nessun analista o grande banca d’affari è riuscita a indovinare (la scelta del termine non è casuale) quello che sarebbe stato il valore esatto dell’indice.

Posto quindi che nessuno, dalle grandi banche d’affari all’amico al bar, può prevedere cosa accada con esattezza sui mercati, cerchiamo di capire come all’interno di questa incertezza ci si debba muovere. La cosa certa è non affidarsi alle previsioni, come appena visto. La cosa più importante dalla quale dobbiamo partire è una profonda ed attenta analisi e pianificazione finanziaria della propria situazione personale, ignorando i rumori di fondo e facendo fede ai segnali.

Definire obiettivi e strategia

Dobbiamo soprattutto avere ben in mente quali sono i nostri obiettivi quando decidiamo di investire. Questi possono essere i più svariati in base alla situazione di ciascuno: chi punta ad accrescere il capitale per comprarsi la nuova casa, chi punta a conservarlo e favorire un passaggio generazionale indolore, e così via. L’approccio deve essere misurato, informato e, soprattutto, personalizzato.

In questo contesto, diventano cruciali due fattori: l’asset allocation e i costi sostenuti. Se per definire le previsioni ho utilizzato il termine rumori di fondo, per l’asset allocation ed i costi degli investimenti possiamo utilizzare il termine segnali. Sono questi due i segnali principali che ci faranno capire se nel tempo l’investimento ci farà guadagnare o meno. Decidere quale percentuale del proprio patrimonio va in obbligazioni, quanta in azioni e quanta in liquidità, in particolare che tipo di obbligazioni, che tipo di azioni e che tipo di liquidità, incide per circa l’80% su quello che sarà il risultato dell’investimento.

Ad esempio, un giovane investitore potrebbe scegliere un portafoglio con una maggiore esposizione azionaria, accettando una volatilità più elevata per un potenziale rendimento più alto nel lungo periodo. Al contrario, un individuo vicino alla pensione potrebbe preferire investimenti più sicuri, come obbligazioni o fondi a reddito fisso, per proteggere il capitale accumulato. L’errore più grande che potremmo fare è spostarci dall’allocazione decisa solo perché sentiamo il rumore delle previsioni: è la ricetta per il fallimento assicurato.

Analogamente, i costi degli investimenti, come le commissioni di gestione e le spese operative, possono erodere significativamente i rendimenti nel tempo. Optare per investimenti a basso costo, come gli ETF (Exchange-Traded Funds), può fare una grande differenza nel lungo periodo. Per esempio, un ETF che replica un indice con una commissione annuale dello 0,1% rispetto a un fondo gestito attivamente con una commissione del 2% può tradursi in un risparmio di migliaia di euro in termini di costi nel corso di un decennio

L'Esempio di Bogle

Un esempio lampante di questo lo abbiamo in una delle pietre miliari della finanza personale, “Il piccolo libro dell’investimento” di Bogle. Vediamolo subito. Se prendiamo 10.000$ e li deteniamo per 50 anni ad un interesse annuo del 7%, dopo 50 anni ci ritroveremmo con 294.600$. È la magia dell’interesse composto prodotto dai rendimenti nella vita di un investimento. Se togliessimo il 2% dei costi, avendo così un rendimento del 5%, abbiamo che al termine dei 50 anni il valore accumulato nel fondo è pari a 114.700$, un divario di ben 179.900$.

Questo divario dipende dalla tirannia dei costi composti nel corso di questo arco di tempo. Quando abbiamo a che fare con i rendimenti, il tempo è galantuomo, quando abbiamo a che fare con i costi, il tempo è nemico.

La realtà dei mercati

Quello che effettivamente sappiamo, ad oggi, è che il mercato obbligazionario è tornato a dare dei rendimenti interessanti. Il mercato azionario è nuovamente ai massimi storici. Quello che accadrà alle due principali asset class non ci è dato saperlo nel breve periodo: se i tassi scenderanno in maniera sensibile rispetto ad ora, chi ha obbligazioni beneficerà di un aumento dei prezzi, viceversa dovessero salire. Quello che sappiamo, però, è che il rischio di non investire è maggiore rispetto all’investimento.

Detenere azioni globali, come quelle americane o internazionali, partecipando così alla crescita economica globale, nel tempo ha sempre portato i suoi frutti. Tutto quello che dobbiamo fare è analizzare in profondità la nostra situazione personale, definire un piano finanziario chiaro per raggiungere i nostri obiettivi ed affidarci all’asset allocation più adatta che deriva da queste esigenze al più basso costo possibile. Aggiungiamo anche una strategia efficiente, come l’ingresso graduale sull’azionario quando è molto alto ed abbiamo ottenuto la ricetta giusta. Tutto il resto è rumore, tutto il resto è noia.

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